venerdì 28 novembre 2008

Sapevatelo III: Miscellanea.

Ovvero: tutto quello che non avreste mai voluto sapere di Budapest, ma io vi dico lo stesso.

O anche: una serie di fatti indipendenti e sconclusionati che non si meritano un post a parte.

Dunque, eccoli qua. Uno: gli ungheresi si svegliano all'alba. Un giorno, per motivi che ho rimosso, sono uscito di casa alle 6:45. Erano tutti già fuori, aspettavano me. Tram affollati, strade piene. Mi hanno spiegato che certi uffici aprono alle 7 e chiudono alle 14, così hai tempo il pomeriggio. Peccato che poi finisci per andare a letto alle nove.

Due: gli ungheresi non vanno a cena fuori. O meglio, ci possono pure andare. Ma non è un'istituzione, come in Italia o in altri paesi europei. Qua, se si esce, si va a prendere una birra dopo cena. Anche perché (vedi punto uno) si cena alle 18.

Tre: qua si può fare un pranzo decente per 4 Euro. In certi posti anche per 2. Però l'inflazione è al 10%. Ah, mica si può avere tutto.

Quattro: Contrariamente alle leggende, le ungheresi non sono tutte belle. Mi dispiace deludere i lettori maschi, ma non è il gran paese delle meraviglie che pensate. Non sono neanche brutte: è un paese normale, c'è di tutto.

Cinque: intorno al centro, nella cornice dei boulevard di Budapest, gira una coppia di tram nuovissimi (il 4 e il 6) che fanno praticamente lo stesso percorso. Durante il giorno il tempo che trascorre tra un tram e l'altro (allitterazione) è di 2 (due) minuti. Forse per la prima volta nella mia vita, quando vedo un tram che mi sfreccia davanti mentre arrivo alla fermata, penso "Evabbè. Aspetterò il prossimo."

Sei: e questa è per le massaie e per i massai. Non siete mai rimasti scocciati dal fatto che al supermercato dovete sbrigarvi a mettere tutto nei sacchetti e nello stesso tempo pagare e prendere il resto, di corsa perché sta arrivando il prossimo cliente? Qua hanno trovato la soluzione. Semplicemente ci sono dei banchi dopo le casse. Tu rimetti tutto nel carrello, vai ai banchi coi tuoi bei sacchetti, e te li riempi con comodo. Semplice.

La prossima volta qualcosa di più interessante, giuro.

venerdì 14 novembre 2008

Sapevatelo II: Le terme.

Szechenyi Thermal Baths

Altro che Abano, altro che Salice, altro che Montecatini o Capri: venite a fare le terme in Ungheria. (L'ufficio turistico dovrebbe pagarmi per questi post).

L'Ungheria, a quanto pare, è il secondo paese al mondo per le risorse di acque termali. Il primo non è difficile da indovinare, è l'Islanda. Ma mentre si sa che in Islanda ci si va a farsi sparare in aria dai geyser, nessuno sa che in Ungheria ci sono delle terme splendide. Budapest ha decine di bagni termali (gyógyfürdő, letteralmente "bagni medicinali").

Le più "famose" (tra chi è a conoscenza di questo segreto di Pulcinella) sono le Gellert. Uno splendido palazzo sulle rive del Danubio, dietro all'hotel omonimo. Sontuosi interni, una piscina che sembra una cattedrale, bagni caldi e freddi, sauna, bagno turco.

Ma per chi è stato alle Szechenyi (nella foto sopra), le Gellert sono uno scherzetto. Decine di vasche interne con qualsiasi temperatura immaginabile al di sopra e al di sotto della temperatura corporea, due saune e soprattutto tre vasche esterne aperte anche in inverno. Una piscina semiolimpionica (vabbè, forse esagero), e due vasche caldissime con cascate e idromassaggi. L'unico problema, in inverno, è saltare fuori da una vasca e correre (con dignità, insomma; mica siamo a Ostia) verso l'interno o verso l'altra vasca calda (che è lontana 40 metri).

Chess players at Szechenyi
Il tutto in una magnifica cornice neo-barocca(?) dell'inizio del Ventesimo secolo. Nota di colore: interessanti personaggi (di cui abbiamo la diapositiva) frequentano le terme e giocano a scacchi sul bordo delle vasche esterne, mantenendo tra l'altro metà del corpo fuori e metà dentro. Poi uno si chiede come mai gli ungheresi (quelli che sopravvivono) sono grossi.

lunedì 29 settembre 2008

A Day in the Life of Budapest.

Margit Island, Margit Bridge
Ogni giorno prendo quel tram, che sta passando su quel ponte, il ponte Margherita (Margit Híd). Il tram c'è, ingrandite la foto. E ogni giorno guardo dal ponte, vedo il Danubio e penso con sorpresa: "Ma sono a Budapest!". Non faccio altro che studiare, praticamente. Quando esco di casa vedo all'università. E viceversa.

Non ho avuto molte occasioni di godermi la città per ora, che è un peccato. Budapest non è una città piena di monumenti da visitare (tipo Roma o Parigi, per dire), che dopo puoi raccontare "ho visto il Colosseo" o "accidenti quanto è piccola la Gioconda". Budapest è una bellissima città da vivere. E' una città da girare, da perdercisi. E' una di quelle città in cui ti siedi in un caffè e guardi il mondo passare, un posto dove ogni tanto scopri dei vicoli nuovi e degli splendidi cortili interni pieni di verde.


O pieni di locali, come il Szimpla Kert. Una ex-fabbrica riadattata a locale, con tavoli e sedie raccattati in giro e una vecchia Lada convertita in tavolo in mezzo al cortile. A due passi da casa mia.

Abito nel VII quartiere, o "kerület" (qui si usano i numeri per i quartieri, proprio come a Parigi e Roma). Il VII è il vecchio ghetto. Ci sono almeno 3 sinagoghe, e girando per strada si vedono passare ogni tanto degli ebrei ortodossi tutti vestiti di nero, col cappellone e le treccine. L'agente immobiliare che mi ha affittato la casa, un ragazzo israeliano, storceva il naso a sentire che volevo vivere nel Settimo: "You know, I am jewish. I don't have good relationship with ghettos."

Ma il ghetto qua è il giusto mix tra affascinanti palazzi mezzi rovinati e nuove iniziative, come Szimpla o come Szóda, un altro splendido locale qua vicino.

E non vi ho ancora parlato di A38, una vecchia chiatta ucraina parcheggiata nel Danubio che ora è ristorante e sala concerti. E' vero, non è nel Settimo, ma in cinque minuti di tram ci si arriva.

Se solo avessi tempo di andarci.

venerdì 5 settembre 2008

Második lecke - Sapevatelo: il gulyás.

Gulash - from Wikipedia
Ovviamente il primo post magiaro su cosa poteva essere? Sul cibo. E in particolare sulla cucina ungherese, famosa in tutto il mondo(?).

Qual'è la prima cosa che viene in mente quando si parla di cucina ungherese? Esatto, quello. Il gulash.

Forse non tutti sanno che il gulash, in Ungheria, non esiste.

O meglio no, non è vero. Esiste. Ma non è quello che vi aspettate. Quando chiedete un gulash in Italia, quello che vi aspettate è un sostanzioso spezzatino paprikoso, immerso in un bel sugo denso e rosso scuro (fame, eh?).

Quando chiedete il gulash (gulyás o gulyásleves) in Ungheria, invece, è un piatto dello stesso colore, e che più o meno contiene gli stessi ingredienti (pezzi di carne di manzo, patate, carote... e ovviamente paprika). Ma non si tratta di un sugoso spezzatino, bensì di una bella zuppa piuttosto liquida.

Se volete lo spezzatino, c'è! Lo dovete solo cercare meglio. Si chiama pörkölt. Che poi significa letteralmente (guarda un pò) "spezzatino". A questo punto dovete solo scoprire di che carne è fatto lo spezzatino che vi offrono; ma a questa lezione non ci sono ancora arrivato.

Bon appétit, anzi: jó étvágyat!

giovedì 4 settembre 2008

Első lecke: Jó napot kivánok

Pest: Parliament By Night
Interrompo le trasmissioni baltiche per annunciare che mi sono trasferito a Budapest. Ho trovato un appartamentino nel ghetto, e sto ammirando la città prima di cominciare la mia nuova avventura, lunedì. Nel frattempo provo a imparare l'ungherese, la lingua più difficile d'Europa a detta di molti.

Ulteriori notizie a breve su questi schermi, quando mi sarò ambientato e avrò qualcosa di interessante da dire su Budapest e sugli ungheresi. A tempo perso vorrei comunque continuare a scrivere del viaggio baltico, chissà quando finirò...

mercoledì 23 luglio 2008

Intermezzo musicale.

Quando vado in giro per paesi stranieri, in genere non compro matrioske e pizzi ricamati da portare a casa come souvenir. Vado in un negozio di dischi e cerco CD di gruppi locali. Non musica popolare o tradizionale; gruppi di musica moderna, ma del posto.

L'idea parte dal fatto che l'Italia è piena di gruppi musicali di qualità, ma che all'estero esportiamo sostanzialmente Eros Ramazzotti e Laura Pausini. Simmetricamente, è probabile che gli altri paesi pullulino di talenti che noi non conosceremo mai.

Vi lascio quindi un piccolo elenco delle scoperte fatte in giro per il mondo. Ovviamente, come diceva il cav. De Gustibus, se ve li cercate attenzione! Potrebbero non piacervi.

  • Repubblica Democratica del Congo: Lì è già difficile trovare dei CD. Se li trovi però sono molto convenienti (1-2 Euro l'uno). Da sentire Werrason o Papa Wemba (molto bella Ye Te Oh).

  • Lituania: tanto per cominciare con le title track di questo blog. Lì ho scoperto gli Inculto (con l'album PostSovPop), che fanno ritmi latini cantando in ispano-lituano.

  • Estonia: Vennaskond (rock-punk). Se vi piace la roba dura, andate giù coi Terminaator (con due "a"!)

  • Polonia: Myslovitz. Pop, assomigliano a qualche gruppo ma non so quale. Il loro album "Korova Milky Bar" mi sembrava addirittura un album di cover, ma forse no. Dal CD non si capisce, è scritto in polacco.

  • Repubblica Ceca: Divokej Bill e Pražský Výběr non sono male. In un locale di Budapest ho sentito un gruppo splendido ceco-polacco costituito esclusivamente da due violoncelliste: Tara Fuki. Purtroppo i CD sono finiti prima che riuscissi a comprarli!

  • Armenia: Non ci sono stato personalmente, ma mi hanno portato un bellissimo CD di Armenian Navy Band, che in realtà è un gruppo mezzo americano. Così come mezzi armeni sono i System of a Down, sapevatelo!

    Viktor Tsoy
  • Russia: E' da lì che forse ho recuperato più materiale. I miei preferiti in assoluto sono i Kino (Кино), gruppo storico che suonava già ai tempi dell'URSS. Loro però non ci sono più, essendo il loro carismatico cantante Viktor Tsoy morto in un incidente nel 1990. A Mosca c'è un murales che lo commemora. Molti ancora vi depositano fiori e candele, o mettono la loro firma.

    Secondi di poco, ma con un grande vantaggio (visto che suonano ancora) sono i Leningrad (Ленинград), che fanno rock e ska politicamente scorretto. Mi manca un loro concerto live, devo assolutamente rimediare.

    Gli altri due che menzionerò sono due gruppi storici: Zhanna Aguzarova (Жанна Агузарова), in particolare il suo Russkiy Album (Руццкий Альбом), e Aquarium (Аквариум).

  • Bielorussia: Eh già, c'è qualcosa anche qua... Un rapper coattissimo, anche nominato l'"Eminem slavo": Seryoga (Серëга). Fa il russo, ma è nato a Gomel, in Bielorussia. Fondamentale il suo album d'esordio, Мой Двор.

    Buon ascolto!
  • mercoledì 2 luglio 2008

    Canta che ti passa

    Tallinn Song Stadium
    Piccolo quiz. Cosa rappresenta la foto a fianco?

    Ci sono delle gradinate, una copertura per la pioggia e una torre di controllo. Un aeroporto sportivo per esibizioni? No. E' lo Stadio del Canto di Tallinn.

    Le gradinate non sono per il pubblico, no. Le gradinate sono per il coro, e possono ospitare fino a 24.000 (ventiquattromila) cantanti. Il pubblico sta sul prato, ci sono diverse centinaia di migliaia di posti. E il tetto non è per la pioggia: è una gigantesca cassa di risonanza che permette a tutti i presenti di sentire il coro.

    E' tradizione dei tre paesi baltici di avere dei festival periodici in cui enormi cori si esibiscono con canti popolari di fronte alla popolazione. E' cominciata così, tra l'altro, l'emancipazione delle Repubbliche Baltiche dall'Unione Sovietica. Cantando. L'hanno chiamata la Rivoluzione Cantante.

    Non sono però riuscito a capire a cosa serve la torre di controllo. Se qualcuno ha un'idea, mi faccia sapere.

    giovedì 19 giugno 2008

    Notti di Bronzo.

    Unknown Soldier, Tallinn

    L'Estonia è un paese tranquillo. Non succede molto. Avete mai sentito parlare dell'Estonia sui giornali?

    Forse sì. Proprio un annetto fa, appena prima che ci andassi io. Riassunto: il governo estone aveva deciso di spostare dal centro della città una statua. Non una statua qualsiasi, però: la statua dedicata al Milite Ignoto dell'esercito Sovietico, che aveva "liberato" l'Estonia dai Nazisti durante la seconda guerra mondiale.

    Il problema nasce proprio da quelle virgolette. Già, perché la maggior parte degli estoni "etnici" (il 69% della popolazione, rispetto al 26% di russi) non si sono sentiti particolarmente "liberati" dai sovietici. E, una volta sciolto il legame con l'URSS, si sono premurati di sottolineare la propria indipendenza con mosse di questo tipo.

    Gli estoni di "etnia" (non mi piace questa parola, si è capito?) russa si sono alterati. Per loro la fine della seconda guerra mondiale (nella quale sono morti più di 20 milioni di sovietici, il più alto tributo di sangue fra tutti i paesi in guerra) è un'occasione da ricordare. E la statua un simbolo da mantenere.

    Durante lo spostamento della statua, in quelle che qualcuno ha chiamato le notti di bronzo, gli scontri tra manifestanti e polizia hanno fatto un morto e più di 200 feriti.

    Unknown Soldier, Tallinn

    La statua alla fine è stata spostata in un piccolo cimitero militare poco fuori dal centro, ed è stata aperta al pubblico proprio il giorno che siamo arrivati. Non c'era nessuna indicazione però, ed era buffo percorrere il cimitero incontrando gruppi di estoni-russi con mazzi di fiori in mano che alla mia domanda in russo approssimativo "Scusi, sa dov'è il soldato sovietico?" rispondevano "Veramente lo stiamo cercando anche noi".

    Finalmente lo troviamo, e ci troviamo tutti insieme di fronte a questo cumulo di fiori e questa piccola folla di gente che vuole farsi fotografare col Soldato. E fuori dal cancello, discretamente, una pattuglia della polizia a sorvegliare.

    giovedì 22 maggio 2008

    Это Tаллинн.

    Tallinn by night
    (Questa è Tallinn)

    Era la prima frase della seconda lezione del "Corso televisivo di lingua russa", edito da ERI-RAI nel 1986 ed ancora utilizzato dagli studenti di Lingue alla Sapienza.

    A quell'epoca Tallinn era la capitale della Repubblica Socialista Sovietica di Estonia, parte integrante dell'URSS e piacevole luogo di villeggiatura per i cittadini Sovietici d'ogni dove. E c'è da capirli, perché l'amena Tallinn (o almeno la sua Città Vecchia) è un paese delle fate, un borghetto uscito dai libri dei fratelli Grimm. E' iscritta come Patrimonio dell'Umanità proprio in quanto esempio di borgo medievale. L'unico altro patrimonio dell'umanità estone, per dire, è un pezzo del celeberrimo Arco Geodetico di Struve (?).

    L'unica particolarità lievemente inquietante di questa peraltro incantevole cittadina è che è deserta. O almeno lo era l'anno scorso quando ci siamo andati noi. Gironzoli per questi magnifici vicoli e non trovi un'anima, se non l'occasionale turista intento a fotografare i sampietrini locali o i portoni di qualche gilda.

    Dei quattrocentomila e spicci abitanti di Tallinn nessuna traccia. Fino a quando non scopri che esiste una città anche fuori dalle mura. Basta fare pochi metri fuori dal centro storico per trovare orripilanti grattacieli che nascondono centri commerciali zeppi di estoni in shopping frenzy. A noi ci hanno lasciato il museo all'aperto, loro si godono le gioie della giovane economia di mercato.

    martedì 20 maggio 2008

    Alla Lituania.

    Mappa delle Repubbliche Baltiche
    Un anno fa tornavo dal mio Giro Baltico, quello che dà mezzo nome a questo blog. Ancora però non avevo l'altro mezzo nome, né avevo validi motivi per aprire un blog. Non che adesso ce ne siano, ma la mia metà est-nord-ofila si sente trascurata, e quindi mi impone di rivangare nel passato per ritirare fuori le memorie estoni, lettoni e lituane.

    Estonia, Lettonia, Lituania (gna fà?): quei paesi là che non ci ricordiamo nemmeno come si chiamano, che hanno tutti i nomi simili, tanto sono tutti uguali, che ci può essere da vedere, parlano la stessa lingua, sono lontani, ma che vogliono da noi? E poi sono minuscoli!

    Primo errore: pensare che fossero posti piccoli. Basterà una settimana per girarseli, no? No. Le tre repubbliche baltiche hanno una superficie pressoché uguale all'Austria e all'Ungheria messe insieme (175.000 chilometri quadri).

    Ignari e ignoranti, noi ci prendiamo un'abbondante settimana. Dopo grandi progetti di island-hopping estone, campeggi nelle foreste lettoni, scappatelle nell'enclave di Kaliningrad tanto per spendere qualche rublo, ci rendiamo conto che con i giorni che abbiamo riusciamo appena a farci le tre capitali, e un giretto della Lituania.

    Cominceremo da Tallinn, dove io e il mio futuro compagno di viaggio Lorenzo parteciperemo a una conferenza. Da consumato viaggiatore, Lorenzo mi fa notare che per risparmiare tempo e denaro, si può provare a fare un biglietto open-jaw (letteralmente, "mascella aperta"): andata Roma-Tallinn, ritorno Vilnius-Roma. Così non c'è bisogno di perdere una giornata per tornare a Tallinn a prendere il volo di ritorno.

    Incredibilmente, la cosa funziona; non solo, costa meno dell'andata-ritorno Roma-Tallinn. Sono quei misteri aerei che non capirò mai, un pò come i biglietti sola andata di certe compagnie aeree (tipicamente quelle che vengono ancora chiamate "di bandiera") che costano 6 volte un'A/R, costringendoti a buttare il biglietto di ritorno.

    Se non avete capito perché il biglietto si chiama open-jaw, disegnate il tragitto dei voli su una mappa. Avrete rovinato una mappa, ma capito quanto sono simpatici gli agenti turistici.

    venerdì 16 maggio 2008

    Appunti di un viaggiatore abitudinario.

    Pensavo che mi succede quando viaggio nelle città d'Europa, quelle in cui non vado Una Volta Sola ma ritorno, di avere un Posto Preferito. Un luogo in cui devo posare il piede ogni volta che vado. Anche se ci sono già stato più e più volte, anche se ci sarebbero tantissime altre nuove cose da vedere. Sono dei centri gravitazionali della mia psicogeografia personale.

    Giorni fa, aspettando che spiovesse, mi sono messo a elencare questi posti nella mia testa. Eccoli qua, a futura memoria (mia). Spesso sono banalità assolute, ma che volete.

    - Amsterdam: La quiete irreale del Begijnhof, cortile introvabile in mezzo al caos turistico delle vie più commerciali della città.

    - Barcellona: La Sagrada Familia, e i lavori in corso. Gli operai che costruiscono, saldano, caricano sulle gru. E' uno dei pochi posti in cui ogni volta che ritorni, è diverso.

    - Berlino: Unter Den Linden. Memore di quell'estate del 1993 in cui tutto era ancora grigio e cupo sotto i tigli. Ma anche la East Side Gallery, che ormai è quasi cancellata.

    - Istanbul: L'Asia. Prendere il traghetto e poggiare il piede nell'Asia di Istanbul, quasi più europea dell'altro lato dello Stretto.

    - Pisa: La parete di Haring, vicino alla stazione.

    - Trieste: Cosa se non Piazza Unità d'Italia, e una passeggiata fino in fondo al Molo Audace.

    - Stoccolma: Gamla Stan, ovviamente. Ma anche il Djurgården. E dall'ultima volta che ci sono stato, sicuramente il Vasamuseet, il cubo con la caravella dentro.

    - Napoli: Piazza del Plebiscito, e lo stupore della sua immensità.

    - Parigi: Uscendo dalla metro a Trocadéro, arrivare all'improvviso sulla terrazza da cui si vede la Torre e il Campo di Marte. E la Fnac, a Les Halles.

    - Londra: Niente. Davvero. Una libreria, per comprare dei libri inglesi. Che sono pure troppo cari.

    giovedì 27 marzo 2008

    Vendiamogliela!

    Runway from Air France Screens

    Intervengo a gamba tesa sull'attualità di questi giorni con comunicazioni fondamentali per il futuro del nostro amato Paese.

    Mi domando se quelli che stanno discutendo del futuro di Alitalia hanno mai preso un volo Air France. Se non l'hanno fatto, ritengo importante specificare alcune ottime ragioni per vendere Alitalia a Air France, sulla base della mia vasta esperienza sui suoi voli intercontinentali (ne ho presi addirittura tre negli ultimi mesi).

    - Appena decollati, ti danno un aperitivo. Non solo, se vuoi ti danno un bicchiere di champagne. Giuro.
    - Su un aereo non ho mai mangiato niente di meglio (con la sola eccezione di Pakistan Airways). Ma sarà anche che stavo tornando dal Congo o dagli Stati Uniti, paesi con la fama di alta cucina.
    - Anche in classe economica, ogni passeggero ha il suo schermo privato con il quale ubriacarsi di film, cartoni animati e documentari.
    - C'è un meraviglioso schermo (di cui abbiamo la diapositiva) che inquadra il decollo e l'atterraggio.
    - Air France, c'est chic. Non c'è niente da fare.

    Mi sembrano motivi eccellenti per vendergliela, quest'Alitalia. Magari ci danno un pò di prosecco. O comunque vi prego, non facciamola fallire. Ho ancora quarantamila miglia da spendere.

    giovedì 20 marzo 2008

    Default

    Ormai sono tornato da un pò, ma butto lì un post che avevo in canna da tempo.

    Tra l'Europa e gli Stati Uniti ci sono differenze abissali, ormai mi è chiaro. Lo shock culturale che subiamo andando in America non è molto inferiore a quello che subiamo andando chessò, in Congo per esempio. Anzi, in qualche modo è peggio. Perché tu credi di andare in un posto simile al tuo, dove fanno le cose simili alle tue, dove ti sentirai come a casa: e quindi ti rilassi, non ti prepari psicologicamente. E invece no, la stangata arriva. Spaesato e beffato.

    Negli Stati Uniti sì, si trovano molte cose che si trovano anche in Europa. Si fanno molte cose che si fanno anche in Europa. Quello che cambia, spesso, è il default. Ovvero quello che ti devi aspettare se cerchi una cosa standard, senza precisare istruzioni particolari.

    Per default, qualsiasi soft drink (acqua e roba gassata) ti viene portato col ghiaccio. Se non hai il riflesso di dire "no ice, please!" ti devi rassegnare a bere la tua bevanda a zero gradi, con grande gioia del tuo dentista.

    Per default, le macchine hanno il cambio automatico. Quello che ha due posizioni, "fermo" e "vai". Ah, e "vai all'indietro". Quello che ha due pedali, l'acceleratore e il freno. Come le macchinine dell'autoscontro al luna park. Quello che quando sei sull'autostrada e vuoi rallentare, fai per scalare le marce, il tuo piede sinistro cerca la frizione, prende in pieno il freno e inchiodi. Con grande gioia di quello che ti stava seguendo.

    Per default, i prezzi vengono esposti senza includere le tasse. Per cui quel magnifico ipod su cui hai visto che risparmieresti cento dollari, i dollari di risparmio diventano cinquanta, e facciamo anche venti visto che ti devi comprare anche l'alimentatore europeo. E se poi ti si rompe, devi tornare al negozio in California. Con grande gioia e 27 ore di aereo.

    State attenti, voi che per default state a Est dell'Atlantico.

    martedì 19 febbraio 2008

    This Is a Fat-Free Post.

    Gli Stati Uniti sono la patria della Junk Food. Qui si trovano salse grasse e improbabili per condire l'insalata, coca-cola alla ciliegia, patatine al doppio strutto ripiene di bava di cinghiale. L'unica cosa che si trova poco è il Mars fritto.

    Oggi al coffee-break della conferenza dove sto ci hanno proposto le seguenti cose:

    • Vasche ripiene di popcorn
    • Pacchetti di popcorn ricoperti di caramello
    • Pretzel da inzuppare nella senape.


    Ma il senso di colpa pervade anche i nostri cugini ammericani, per cui la mattina a colazione ci sono ben tre brocche diverse di latte per annaffiare i cereali: latte con 1% di grassi, latte senza grassi (Fat-Free Milk) e latte di soia. Se vuoi il latte "normale" lo devi chiedere.

    E' un pò come ingozzarsi di torte alla crema tutto il giorno, e poi a colazione mangiare il pane senza farina.

    lunedì 18 febbraio 2008

    Little Boxes on the Hillside...


    (Little boxes all the same)

    Descrizione di una tipica città americana.

    Il centro: Downtown, o Central Business District in australiano. In centro si lavora, non si dorme. E non solo nel senso che non è il caso di farsi beccare dal capo a sonnecchiare sulla scrivania (qua si licenzia per poco), ma proprio perché in centro non ci sono case. Solo uffici, alberghi e ristoranti (tipicamente aperti a pranzo, molto meno a cena). In centro non c'è neanche un negozio: a San José, i negozi più vicini sono a 4 miglia di distanza.

    L'americano "medio" vive in una casetta in periferia, possibilmente monofamiliare (per chi può). Ha un giardino e un vialetto per la macchina. Ha certamente la macchina, probabilmente una per ogni componente del nucleo familiare. Sull'automobile si basa lo stile di vita negli USA: senza automobile non vai da nessuna parte. Bella forza che qui prendono la patente a 16 anni (14 in certi stati). Mi domando come facciano fino a quell'età. Gli autobus li prendono solo i poveri, gli anziani, i cittadini di serie B insomma. Bicicletta?

    Con la macchina i nostri bravi cittadini vanno tutti insieme downtown, parcheggiano nei numerosi parcheggi del centro, e tornano a Suburbia la sera. Magari prima di tornare fanno un salto alla mall, il centro commerciale. Che ha un ampio parcheggio coperto, è aperto fino alle 21, e raggruppa tutti i negozi di cui c'è bisogno. In quello di San José c'è Apple, Macy's, Levi's, The Body Shop, Nike... Non c'è una libreria. Ah bè, poco male. Tutti i negozi di cui c'è bisogno, dicevo.

    domenica 17 febbraio 2008

    Le nonne di Delta

    Dimenticatevi i cliché sulle hostess bonazze che vi servono i drink in minigonna. Su Delta, hanno sperimentato una nuova filosofia: le hostess-nonne. Signore cinquantenni e più, con lo sguardo materno e i grembiulini (giuro), che con i loro affettuosi sorrisi ti coccolano fino all'atterraggio. Le hostess bonazze via, a spazzare gli hangar.

    giovedì 14 febbraio 2008

    Ti sogno California?

    Ho deciso, senza troppo rumore, di trasformare questo in un blog da viaggio, un blog di viaggi. Già che ce n'era uno, inutile farne un altro. In cui non si parli solo di Conghi e di Lituanie, ma anche di altri posti. Perché ci saranno altri posti, giusto? Anzi, a proposito di Lituanie, dovrei metterci su un pò di post sul viaggio baltico dell'anno scorso. Si farà. Al mio ritorno.

    Seal of the State of California
    Già, perché domani parto per la ridente California. Eureka, come dice lo stemma qui a lato. Non vedo l'ora di affrontare le gioviali guardie di frontiera che mi chiederanno dove vado che faccio chi incontro cosa ho mangiato per colazione, prendendomi le impronte dell'iride e il colore dei polpastrelli.

    Le mie tappe saranno San Jose, ridente capitale della Silicon Valley, e San Francisco, ridente e basta.

    Il viaggio inizierà bene, ho calcolato all'incirca 27 ore da quando mi sveglio qua a quando andrò a dormire là (in una misurazione temporale che chiamerei da letto a letto). Se mi riprendo, scriverò qualcosa. O anche no.