giovedì 30 agosto 2007

Le foto.

Siamo tornati sani e salvi, e come previsto siamo stati riassorbiti dai nostri cicli quotidiani.

Non dispero però di scrivere ancora qualcosa in questo blog, come dicevo - non fosse altro che per rileggermelo da solo in futuro. Stay tuned (me lo dico da solo).

Nel frattempo sono riuscito a trovare il tempo di mettere online tutte le foto. Le trovate qua. C'è una minima classificazione, ma ben poca selezione e niente commenti.

Già che ci sono, vi lascio anche il link alle foto di Silvio.

lunedì 27 agosto 2007

Time to go

Il nostro tempo a Kingasani sta per finire. Domani abbiamo l'aereo per Roma. Saranno circa 24 ore di viaggio "da casa a casa", ovviamente sperando di non dover passare un'altra giornata ad Addis Abeba (mica male per carità, ma non ho più mutande di ricambio).

Oggi abbiamo "inaugurato" il centro, consegnandolo in qualche modo alla gestione dei ragazzi di Kingasani. Un pò di preoccupazione c'è, soprattutto per il fatto che sicuramente abbiamo lasciato delle cose incomplete (abbiamo lavorato anche fino a dopo l'inaugurazione per finire le ultime cose). Ma sarà il mio ottimismo esemplare che mi fa dire questo, andrà tutto benissimo. E sennò, hanno le nostre mail.

Sono rimaste diverse cose che ho scritto ma non postato, diverse altre che non ho nemmeno scritto e avrei voluto scrivere. Immagino che dopo che sarò tornato non avrà più molto senso metterle su, o forse sarò travolto dal quotidiano e non ci penserò nemmeno. Faccio un buon proposito del nuovo anno (che come tutti sanno inizia a settembre e non a gennaio); cercherò di mettere sul blog quello che per motivi di smanettamento, di pigrizia o di mancanza di corrente non ho mai messo. Almeno per futura memoria, almeno mia.

Piccolo spazio pubblicità

Un giovane utente di Ubuntu
Vorrei cogliere l'occasione di questo blog per rompervi l'anima un momento con Linux.

Nel laboratorio di Kingasani abbiamo installato alla fine dieci PC per i corsi di alfabetizzazione informatica, e tre per l'accesso a Internet. In tutte queste macchine abbiamo installato due sistemi operativi: Windows e Ubuntu Linux.

Non mi metterò a ripetere qua tutta la pappardella sulla filosofia del software libero, anche perché ci sono altri testi che sono sicuramente scritti molto meglio.

Ci rendiamo ben conto che in contesti come questo, la battaglia per il software libero è prematura. Per loro è già tanto avercelo, il software. Ci immaginiamo facilmente che il giorno dopo la nostra partenza, è possibile che nessuno faccia più partire le macchine con Linux.

Ma al di là dei facili pessimismi abbiamo voluto lasciare una piccola impronta, un piccolo seme; magari qualcuno in futuro avrà la possibilità di approfondire qualcosa sul software libero. E comunque per noi era importante far loro capire che "computer" non è per forza uguale a "windows". Esistono delle alternative, che tra l'altro (a nostro umile avviso) sono migliori.

Vorrei esportare questo seme anche su questo blog, perché anche voi che leggete avete un'alternativa, e magari non lo sapete. E se non cominciate voi, chi comincerà?

Vi voglio dire solo questo. Se volete un pò bene al vostro computer, scaricate e installate Ubuntu. Eviterete così di doverlo sminare di virus e riformattare ogni mese. Avrete un sistema stabile, funzionale e facile da usare. Più di quanto pensate.

venerdì 24 agosto 2007

Frühstuck in Wien

Colazione al Café Mozart
No, non ci siamo trasferiti in Austria. Eppure quello che vedete sul tavolo (soprattutto se ingrandite la foto) è realtà: coppe di gelato (mango, ananas, banana fatti con vera frutta), una fetta di Sacher, un cannolo.

Queste foto sono state prese in uno dei posti più paradossali di Kinshasa: il Café Mozart. Ci siamo andati ieri, in uno dei nostri rari giri in città. Dopo un'ora di traffico per raggiungere il centro, abbiamo scoperto che la persona con cui avevamo appuntamento era in ritardo (sarebbe poi arrivata due ore dopo, ma questo meriterebbe un post a parte sui tempi africani). Ne abbiamo quindi approfittato per un break di mezza mattina in questo caffè, che potrebbe perfettamente trovarsi sul Danubio se non fosse per un frigo con la pubblicità della birra "Skol".

Come potrete immaginare, la clientela è costituita quasi esclusivamente da bianchi, o comunque da persone che si possono permettere di pagare un dollaro per ogni gusto di gelato.

il bancone dei dolci del Café Mozart
Diversamente da quello che avrete pensato, invece, non si tratta di un avido imprenditore assetato di profitto che ha messo su questo caffè, bensì una congregazione di suore che l'hanno creato come appendice della scuola alberghiera che gestiscono. Le cameriere sono delle ragazze recuperate dalla strada, alcune delle quali sono anche andate a fare uno stage a Vienna.

Messa così, ci è saltato anche il senso di colpa iniziale che abbiamo provato entrando in questo posto. Se non ci spendiamo dei soldi noi, in fondo, chi mai lo farà? Tra l'altro la clientela è piuttosto rara, e dubito che il negozio abbia grandi profitti.

E sarebbe un peccato se scomparisse, perché il gelato è veramente buono.

lunedì 20 agosto 2007

Two-Headed Dollar

Due post in poche ore. Sono proprio ispirato. O forse è solo perché non è ancora andata via la corrente.

La RDC, come tanti altri paesi, è "dollar-based". Nel senso che la valuta forte, qua, è il dollaro statunitense. L'euro viene preso, ma il dollaro piace di più. Quindi noi, ovviamente, ci siamo portati un pò di dollari.

Il vecchio formato dei 20$
Samuele in particolare è arrivato in Congo con un pacchetto di dollari "con la testa piccola", quelli emessi prima degli anni 2000. Ebbene, questi dollari, in Repubblica Democratica del Congo (e anche in Etiopia, perché allo scalo ad Addis ci abbiamo provato) non vengono accettati.

Forse non tutti sanno che i dollari non scadono. La notra sempre affidabile Wikipedia ci spiega che sono valide tutte le banconote emesse dal 1861 a oggi.

Il nuovo formato dei 20$
Samuele si ritrova quindi possessore di un piccolo rotolo di dollari che a Detroit, Michigan, lo manderebbe avanti diversi giorni. A Kinshasa, invece, dove lo stesso valore di dollari potrebbe farlo vivere probabilmente per qualche settimana, quelle banconote sono carta straccia. Un simpatico paradosso. Fosse successo a tutti e tre ora avremmo dei problemi.

E quindi prima di tutto un annuncio di utilità pubblica: se venite in Africa, portatevi i dollari con la testa grossa, quelli con la data posteriore al 2000. Altrimenti vi ritroverete ricchi ma affamati.

E in secondo luogo una semplice domanda: perché?

Nebulosa di Orione

Ieri ho visto le stelle.

La cosa è meno banale di quanto si possa pensare. Partendo per l'Africa, pensi a una natura incontaminata, un inquinamento luminoso pressoché assente, insomma la possibilità di vedere un cielo stellato strepitoso, l'intera via lattea come quando andavi in campeggio da piccolo.

E invece no. Atterri nella Repubblica Democratica del Congo, e non hai nemmeno finito di pronunciarne il nome che ti accorgi del cielo plumbeo. Nei giorni seguenti ti spiegano che questa è la stagione secca; e che durante la stagione secca è sempre così. Il cielo è perennemente grigio, come se dovesse piovere da un momento all'altro. O meglio, come in quelle giornate in cui ti sembra che debba piovere da un momento all'altro, ma in realtà non piove. Solo durante la stagione delle piogge, dopo i temporali, il cielo può diventare davvero terso.

Silvio mi aveva avvertito prima di partire:

- Silvio, ma cosa mi devo portare?
- Guarda, non so cosa porterò, ma so bene cosa non porterò: la crema solare.

Ovviamente non ci avevo voluto credere e la crema solare me la sono portata. Si sta facendo una bella vacanza, lì nella borsa.

L'effetto positivo della cappa di nuvole è in realtà proprio quello: ti evita di morire ustionato. In fondo siamo quasi all'equatore, e le rarissime volte che esce il sole si sente.

L'effetto negativo è che la sera non si vedono le stelle. Solo ieri sera le condizioni c'erano quasi tutte: il cielo si è aperto, e il quartiere era sotto black-out. Si è rivelata qualche timida stella. Certo non la via lattea al gran completo, ma in fondo non male. Certo, ne sapessi riconoscere qualcuna, magari farei un passo avanti.

domenica 19 agosto 2007

Mundele, pesa mbongo!*

Mercato del pesce a Kinkole
In Congo siamo dei rotoli di dollari che camminano. Al di fuori di un raggio di qualche chilometro dalla missione, veniamo regolarmente avvicinati da mercanti e mendicanti che cercano di far passare alcuni dei franchi congolesi dalle nostre tasche alle loro. Comprensibilmente, visto che nelle nostre tasche è spesso contenuto il guadagno medio di un mese per uno di loro. La prima frase in francese che i bambini di città imparano è "Mundele, donne-moi l'argent!"*

Chiaramente, anche i prezzi sono differenziati a seconda del colore della pelle. Noi ci scandalizziamo che i commercianti chiedano a noi un prezzo doppio o triplo di quello che chiedono a un locale, ma è davvero ingiusto?

Anni fa, un gruppo di saltimbanchi olandesi andava in giro su una nave portando uno spettacolo itinerante. All'entrata, gli spettatori venivano pesati; il prezzo del biglietto variava a seconda del peso dello spettatore.

Qualcuno ha proposto di far pagare le multe in funzione del reddito. Un incosciente ricco con la Ferrari non eviterà di andare a 300 km/h in autostrada solo perché potrebbe prendere cento euro di multa. Se ne potrebbe permettere diecimila, di multe così.

E quindi, forse anch'io dovrei pagare un CD sei dollari invece dei tre che paga un autoctono.

Oggi, mentre eravamo a Kinkole, il lido di Ostia di Kinshasa, contornati da venditori ambulanti, un ragazzo congolese che ci accompagnava ci ha fatto notare che lui i CD li pagava la metà di quanto il venditore ci aveva chiesto. E' stato aggredito, perché lui tradiva i fratelli, tradiva il Congo e si era venduto ai bianchi.

Al di là del ragionamento sulla probabile iniquità di pagare le cose quanto le paga uno di qua, mi sono trovato palesemente davanti agli occhi questa barriera che ci divide in "noi" e "loro". Una barriera ineluttabile e probabilmente incrollabile. Mi sono chiesto se potrò mai superare la condizione di dollaro deambulante. O se piuttosto noi mundele non siamo in qualche modo condannati a mantenere il ruolo di vacche da mungere o - al contrario - di sfruttatori che si approfittano di un popolo in miseria per far prosperare i propri affari.

In Congo, ad esempio, non esiste praticamente nessun business in mano a proprietari locali. Senza andare troppo lontano a cercare le multinazionali americane ed europee, anche i piccoli commerci sono in mano a stranieri. Libanesi, indiani, pakistani, cinesi. Gran parte dei soldi spesi in Congo esce dunque dal paese.

I congolesi al limite si muovono su un'economia di sussistenza: possono essere proprietari di un banchetto per la strada che vende il pesce essiccato, o la farina di manioca, o le ricariche dei cellulari. Oppure fanno i venditori ambulanti di CD.

(*Bianco, dammi i soldi!)

martedì 14 agosto 2007

Smanettoni in Congo

Smanettamento
Allora, pare che da questo blog non si capisce bene che ci siamo venuti a fare qua.

A parte il fatto che il link alla pagina del progetto è ben visibile sulla destra di questa pagina (prego cadaunare la diapositiva), per i pigri che non si vogliono leggere tutto il malloppazzo del progetto ve lo riassumo in due righe: siamo venuti qua a selezionare la nuova generazione di nerd congolesi.

Quelli che smonteranno dodici PC perfettamente funzionanti per ottenerne uno leggermente più veloce e un ammasso di rottami. Quelli che passeranno notti insonni a ricompilare i kernel di Linux perché non viene riconosciuta la scheda audio. Quelli che si massacreranno di ping, traceroute, tcpdump per capire perché non passano i pacchetti SMTP finché non scopriranno che era staccato il cavo di rete. Quelli che diventeranno come Samuele, per intenderci.

(Consolatevi: se non avete capito niente di questo paragrafo non siete a rischio.)

Sembra invece che qua la cosa interessi. Probabilmente non sanno a cosa stanno andando incontro. Comunque sembra che seguano con attenzione, anche se nelle nostre pseudolezioni stiamo condensando le conoscenze acquisite con anni di studi (e per quanto mi riguarda, decenni di insipienza accumulata senza un minimo sguardo alla teoria) in tre settimane.

L'ostacolo più grosso è la lingua. Non tanto perché non siamo in grado di parlare francese; quanto perché questi simpaticoni transalpini hanno pensato bene di tradurre qualsiasi termine tecnico nella loro benedetta lingua.

Ordinatore? Repertorio? Commutatore? Passerella? Ma che roba è?

lunedì 13 agosto 2007

Manhattan Transfert

Una strada di Kingasani
Kingasani è come Manhattan.

A prima vista, come scrivevo i primi giorni, sembra un quartiere-fungo nato spontaneo lungo le vie dell'autostrada che collega Kinshasa all'aeroporto. Un pò come il Mandrione, come il borghetto degli Angeli, dove poco prima che partissi stavano facendo le fogne; quarant'anni dopo la nascita del quartiere.

Non è proprio così. E' vero, le fogne non ci sono neanche qua. E' vero, dall'autostrada gli svincoli non sembrano esistere; bisogna passare attraverso il "marciapiede", o meglio la strada di sabbia dove passano i pedoni, e infilarsi in vie di sabbia e terra sempre più strette man mano che ci si allontana dalla via principale.

Ma la fisionomia del quartiere è identica a quella di Manhattan. Le strade sono tutte ad angolo retto tra di loro e costituiscono degli isolati; ogni via ha un nome, e gli insiemi di vie costituiscono dei sottoquartieri, anche loro con i loro nomi. Gli isolati possono appartenere a più proprietari, ognuno con la sua "parcelle", la particella di terreno.

Tutto è molto più ordinato e organizzato di come sembra a prima vista. Ci sono le "rues marchandes", più affollate delle altre, con i banchetti che fungono da negozi: dai peperoncini, al pesce essiccato, al carbone, ai cellulari. Ovviamente tutti hanno un cellulare qua; con 1 dollaro si può avere una scheda. Niente nome, cognome, residenza: un dollaro.

Metà dello stipendio medio giornaliero.

sabato 11 agosto 2007

Atterraggio.

N'Djili Airport, Kinshasa
L'aeroporto di Kinshasa si chiama N'Djili. Il codice aeroportuale è FIH, che non si capisce assolutamente da dove venga. Manco a dire Leopoldville, quando il Congo non era ancora Democratico, non era nemmeno Zaire, ma era Belga.

L'aereo atterra e dalla scaletta si cammina direttamente per 100 metri fino al controllo passaporti, come a Ciampino ai bei vecchi tempi in cui c'era solo Virgin.

Al controllo passaporti ci sono quattro file: diplomatici, VIP, nazionali ed espatriati. Il Congo non è paese da turisti, non saprebbero in che fila mettersi. Per esclusione andiamo nella fila degli espatriati, insieme ai tanti congolesi che entrano col loro passaporto straniero; contrariamente alle previsioni terroristiche di Silvio, la guardia di frontiera ci fa passare, e anche i paramedici in camice bianco che controllano il certificato di vaccinazione della febbre gialla.

Il recupero bagagli è tutt'altra cosa. Raggiungiamo un invidiabile score di 0 bagagli arrivati su 8 spediti, prima di scoprire che l'Ethiopian era stata fin troppo solerte e ce li aveva messi nel volo che noi non eravamo riusciti a prendere. C'è tutto, ed è tutto sano.

All'uscita dall'aeroporto, la guardia ci chiede se abbiamo un pò d'acqua per lui. Marco, il missionario laico che ci è venuto a prendere, ci spiega che è un codice: l'acqua vale 100 franchi congolesi, un "sucré" (bibita) vale 2-300 franchi, una birra 600 franchi. Un dollaro sono 500 franchi, un euro 650.

Marco gli risponde che in stagione secca l'acqua è rara, e ce la caviamo con una risata.

Passiamo il cancello, e siamo a Kinshasa.

giovedì 9 agosto 2007

Nella terra di Haile

Addis Ababa
Aspettiamo un'oretta all'aeroporto di Addis Abeba (anzi, Addis Ababa) che l'ufficio dell'Ethiopian sbrighi le procedure burocratiche per uscire in città. Tutti quelli che venivano da Roma e vanno a Kinshasa passeranno una notte qua: siamo noi tre, due suore, una ragazza congolese e una coppia di signori anch'essi congolesi ma di Brazzaville.

Una volta usciti è tutto organizzato: prendiamo un autobus (certo meglio del 64 che ha preso Samuele) che ci porta all'albergo in centro. Un bell'alberghetto, le stanze sono enormi, televisione con ben 4 canali di cui la CNN e frigo (senza bar). Nel tragitto Silvio continua a ripeterci che questa è un'ottima preparazione a quello che ci aspetta a Kinshasa: una via di mezzo tra Europa e Africa. Dice, "qua i taxibus sono colorati diversamente, e ci sono le strisce per strada". Ah.

A quanto mi sembra di capire uscendo a fare un giro con un taxi affittato, il concetto di "centro città" è relativo: questa sembra essere una di quelle città in cui non c'è un centro evidente. Ci sono grandi strade, una serie di poli d'attrazione, ma nessun centro storico chiaro. Il campus universitario, antica residenza di Haile Selassie, è splendido. Altro che la Sapienza (ci vuole poco in effetti).

L'autista dovrebbe farci vedere le attrazioni "turistiche", ma non sembra molto collaborativo. Ci porta in un quartiere che si chiama "Piazza", un altro che si chiama "Mercato", e ci dice che qui gli italiani non li odia più nessuno, è stato tanto tempo fa. Noi insistiamo col nostro senso di colpa da rimosso colonialista, vorremmo farci prendere a bastonate tanto per tornare contenti a casa con le cicatrici da far vedere a Del Boca, ma niente. Ci vogliono bene. Campioni del mondo.

La sera vorremmo andare a mangiare zighinì in qualche bettola (Silvio e Samuele non hanno mai mangiato eritro-etiope, un crimine!), però ci sconsigliano di uscire. Non capiamo se è perché vorrebbero che dessimo altri soldi all'autista che ci porta nel bel posto turistico carino, oppure per sana preoccupazione per la nostra salute di bianchi spaesati. In effetti però non c'è molto là intorno (a parte uno strano ristorante "Lombardia") e quindi propendiamo per mangiare in albergo. Lo zighinì non esiste (sarà un nome eritreo?), ma ci portano roba comunque molto buona e un ingera leggerissimo, molto più che in Italia.

Vado a dormire sazio ma non gonfio, pensando però che questa Addis non l'ho capita. Certo, ci sono stato poco e non mi ero preparato. Ma anche geograficamente, non sono riuscito ad inquadrarla. Niente da fare, ci dovrò tornare.

Flashback: il viaggio

Samuele a Fiumicino
Facciamo un passo indietro. Domenica 5 agosto, Roma.

Dobbiamo partire tutti e tre da Fiumicino, quindi appuntamento a Roma, a casa mia. Ho in casa 3 PC e una stampante che dobbiamo portare giù, e ce li dobbiamo distribuire nei nostri bagagli. Pare che portarci i PC negli scatoloni potrebbe darci problemi con la dogana, quindi dobbiamo infilarli nelle valigie.

Gli altri 7 PC (in totale sono 10) che servono per il centro li abbiamo già mandati a dei ragazzi di Lecco che scenderanno a Kinshasa un giorno dopo di noi. Ci avranno maledetti in perpetuità.

Samuele deve arrivare col treno a Termini. Peccato che a Roma San Pietro gli comunicano che la stazione Trastevere ha preso fuoco (?) e quindi il treno si ferma. Samuele carico come un mulo si fa fino a Termini sul 64 zeppo. Medaglia al valore.

A parte questi piccoli intoppi, ci troviamo tutti a casa mia insieme a genitori sparsi che ci accompagneranno all'aeroporto. Seminiamo hardware per casa ovunque (ovviamente Samuele si è portato appresso un laboratorio di microelettrotecnica), mettiamo tutto nelle valigie e finalmente via.

Il volo è Roma - Addis Abeba - Kinshasa, e parte a un orario molto comodo: le ore 01:50. A Fiumicino ci siamo noi, gli agenti dell'Ethiopian e qualche addetto alle pulizie. Temiamo per il peso dei bagagli: abbiamo un limite di 45kg per uno, ma la somma supera di 10kg. Ma nessuno se ne accorge (vai tu a sommare il peso di 8 bagagli!), quindi la passiamo liscia.

Ovviamente nel volo non si dorme, e arriviamo in ritardo a Addis. La mia speranza segreta si realizza: siamo in ritardo, perdiamo la coincidenza. Dobbiamo passare 24 ore a Addis Abeba, a spese di Ethiopian. Grandioso.

mercoledì 8 agosto 2007

Da Vilnius a Kinshasa

Pochi capiranno questo riferimento intellettuale; dopo il viaggio nei Paesi Baltici di maggio, adesso sono a Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo. Diventando così probabilmente uno dei pochi esseri umani ad essere stato dal Congo alla Lituania (anzi, viceversa) nel giro di pochi mesi.

Ci troviamo a Kingasani, commune de Kimbanseke, Kinshasa, per installare un centro informatico. Il centro si trova presso una missione, che è a tutti gli effetti l'unico punto di aggregazione del quartiere.

Quartiere che poi non è un "quartiere" come lo immaginate voi.

Prendete una strada piuttosto grande, diciamo 2-3 corsie per parte. Tiratela dritta e asfaltatela, dal centro di Kinshasa all'aeroporto. Ai lati vi ritroverete una serie di quartieri "informali", spuntati senza particolari infrastrutture (leggi: no acqua, no fogne, no elettricità), su strade di sabbia frammischiata a vari residui stratificati. Aggiungete qualche centinaio di migliaia di persone, mescolate bene ed ecco a voi Kingasani. In mezzo a Kingasani, la missione della Consolata.

Non vorrei liquidare le mie impressioni in poche parole. Cercherò di farlo in futuro. Per ora mi limito ai fatti.

Sono qua con Silvio e Samuele, i due altri ISFini (soci di Ingegneria Senza Frontiere) che partecipano al progetto. Stiamo alloggiati presso la missione. A quanto dice Silvio, che è stato qua due anni fa, è un Club Med: lui due anni fa si lavava col secchio e il suo progetto si svolgeva presso un posto senza bagni né posti dove comprare da mangiare (quindi non pranzava). Per andarci, si faceva 1 ora in taxibus.

Noi abbiamo una doccia, facciamo 3 pasti al giorno, e abbiamo il lavoro a 100m dal nostro letto. Meglio che a casa.

Non usciamo molto dalla missione, se non per qualche giretto nel quartiere. Il centro è a 20km, noi non sapremmo come arrivarci; e pare che dopo le 20 non sia tanto il caso di uscire. Dovremo fare a meno di Kinshasa by Night, a quanto pare.

Domani però ci sarà Kinshasa by day; andiamo in giro in città a fare un pò di spese.